La Torta di sangue di maiale è tra i piatti tipici bresciani più poveri che la cucina del territorio ha proposto per secoli.
Ingredienti:
(per sei persone)
- Un quarto di litro di sangue di maiale freschissimo
- mezzo litro di latte
- sale
- pepe
- un pizzico di spezie
- mezza cipolla
- una noce di burro
- gr. 25 di grasso di maiale
- gr. 40 tra formaggio nostrano e grana grattugiatati
- qualche cucchiaio di pane grattugiato fine
Preparazione Ricetta Torta di sangue di maiale della Cucina Bresciana:
Versate il latte e il sangue di maiale in una terrina.
A parte fate sciogliere lentamente il grasso di maiale in un tegame basso.
Aggiungetevi la cipolla tritata fine, mescolate, fate imbiondire, aggiungete il sale, il pepe, le spezie.
Amalgamate bene il tutto con il cucchiaio di legno.
Unite, facendo cadere a pioggia, i formaggi e il pane grattugiati (abbiate cura di lasciare da parte due cucchiai di formaggi grattugiati).
Mescolate il tutto e fate cuocere lentamente a fiamma bassa per circa venti minuti, sempre mescolando.
Imburrate leggermente una teglia da forno.
Mettetevi il composto, spolverizzate di formaggio grattugiato che avrete tenuto da parte. Sul tutto ponete qualche fiocche to di burro e infornate a forno vivace per circa mezz’ora.
La torta deve fare una crosticina consistente.
In Valle Camonica questo piatto si serve ancora con contorno di polenta
morbida.
La storia della Torta di sangue di maiale della Cucina Bresciana
Lroi ,’l roi: il grido schioccò come una frustata nella mini trattoria di Pezzo, presso Ponte di Legno. Immagine della memoria che pare un dagherrotipo, tanti anni sono passati.
Un ragazzino sollecitava al rito del porco che veniva sacrificato alla mensa.
E, pronunciando alla francese il termine camuno, risulta esaltata la regalità del maiale. Già sancita con scientifica citazione.
Nemmeno il sangue è da disperdere.
Altrove se ne fanno salsicciotti; da noi, con brio, una torta, che per secoli, quasi sempre immiserita perché senza dolcificante, fu pasto completo.
Ai tempi di Pio Languore e di Meo Carota, che tiravano a campare a pancia vuota e senza il becco di un quattrino (sintonicamente al tempo in cui apparvero sul “Corrierino”: c’era la guerra) , tutto faceva brodo. Spiega Venè, “Coprifuoco”, Rizzoli, 1989: “Sangue di oca, di coniglio, di gallina, sangue vaccino, di maiale e di cavallo: il sangue colato dagli animali lentamente sgozzati col coltello raggiunse…lo stesso prezzo prescritto dal governo per la
carne di seconda scelta e le frattaglie…
Le signore piccolo-borghesi adottarono primordiali ricette contadine.,.”.
Sono state riscoperte.
Non per fame: per desiderio di ruralità.
Dopo l’assaggio, un caffè, meglio se con schizzo di grappa, conviene.
L’esotica bevanda a Montirone, sul palazzo dei conti Lechi, ha piccolo monumento.
Una tazzina nella quale è rimasto un grumo di zucchero annerito e che fu portata alle labbra da Napoleone.
Lo ricorda, in “Questi nostri occhi” , Editrice internazionale, 1959, Arturo Marpicati, bresciano di Ghedi.