Narra la leggenda bresciana che nel tempo dei tempi i Bergamaschi ritenevano la Luna proprietà dei Bresciani.
Non solo, ma data la secolare rivalità che li divideva, credevano che la tenessero nascosta e la mostrassero in cielo a loro piacimento.
Mal sopportavano i Bergamaschi che si potesse vedere splendere tra le stelle soltanto quando piaceva ai Bresciani di esporla.
Sicché, dopo laboriose discussioni, mille progetti ed infinite proposte di venire a patti, non volendo umiliarsi a chiedere favori, prevalse l’opinione che la Luna si dovesse rubare.
Guardando a Oriente e vedendo che la splendente Luna saliva sempre da dietro i Ronchi, così vengono chiamate le colline della città, fu deciso di organizzare una spedizione per mettere a segno il temerario progetto.
Radunati dunque i più coraggiosi e i più ardimentosi tra i cittadini di Bergamo, agli ordini di un temibile capo, chiamato Brembo de’ i goss, per via di certi pendagli che gli ornavano il gorgozzule, la marcia ebbe inizio.
Armati di roncole e di cesoie per tagliare le robuste corde con cui
gli assalitori credevano che la Luna fosse trattenuta, i bergamaschi raggiunsero indisturbati i Ronchi.
Qui si disposero all’attesa, tenendo a portata di mano non solo le rudimentali armi con le quali intendevano anche difendersi dai bresciani, nel caso che avessero reagito a difesa della Luna, ma anche grandi coperte e teloni con cui avvolgere il Satellite una volta rubato e celarlo agli sguardi indiscreti lungo la strada del ritorno.
Brembo de’ i goss per sostenere i suoi e animarli all’impresa, li passò un’ultima volta in rassegna, lodò il loro coraggio, li esortò al successo e raccomandò loro decisione perché il tentativo non fallisse.
Esaurite le operazioni preparatorie, il capo ordinò ai suoi di disperdersi, ben celati tra i cespugli, per non dare nell’occhio a mostrarsi in gruppo.
Nella lingua cara alla città rivale, Brembo ripeté ai suoi, rincuorandoli ancora una volta:
«Siate pronti al mio segnale! Accorrete come un sol uomo, per afferrare la Luna non appena i proprietari l’hanno esposta!».
Le ore passarono, ma della Luna nessun segno in cielo.
Quella notte, le nuvole la facevano da padrone e lasciarono delusi i componenti della rischiosa spedizione.
Cominciarono a serpeggiare dubbi e sospetti.
Lo stesso Brembo si scoprì a pensare:
«E se i Bresciani avessero subodorato che noi siamo qui per derubarli della Luna? Che qualcuno li abbia avvertiti a nostra insaputa?».
Una risposta precisa non poteva darsela, ma i fatti lo stavano convincendo che i rivali, in barba a tutte le prudenze, non intendevano correre il rischio e lasciarla vinta a Brembo ed ai suoi!
Dopo accese discussioni, all’ombra dei manti boscosi, fu deciso di non rientrare a Bergamo, ma di aspettare una seconda notte.
«Saremo più fortunati domani» assicurò Brembo de’ i goss, «la faremo vedere noi a questi bresciani la Luna nel pozzo.».
Ma anche la notte successiva, come se si fossero date appuntamento per indispettire i Bergamaschi, le nuvole dominarono i cieli sopra la città e sopra i Ronchi!
Il sospetto che i Bresciani avessero scoperto le intenzioni dei Bergamaschi divenne una certezza.
Brembo radunò i suoi accoliti e così parlò:
«Mi è facile ordinare di ripiegare sconfitti e delusi al di là dell’Oglio e del Sebino, ma che ne sarà della Luna, ora che i Bresciani hanno saputo dei nostri progetti? Certo si aspetteranno un nuovo tentativo da
parte nostra. E per evitare che noi possiamo prenderla e portarla via, si
guarderanno bene dall’esporla. Per questo la tengono ben nascosta.
Senza contare che appena tornati a casa, i nostri ci accuseranno di aver
provocato i Bresciani, al punto da spingerli a non mostrare più la Luna
sopra i Ronchi!».
Alle parole del capo seguì un lungo mormorio della gente, divisa tra ritentare e rinunciare all’impresa audace.
Prevalse alla fine il buon senso. A nome di tutti, un tale di Trescore disse franco: «Pensiamo a come rimediare al malfatto, per riguadagnarci la stima dei nostri vicini».
Brembo ascoltò tutti coloro che avevano proposte da fare o opinioni da esprimere, poi concluse:
«Mi pare cosa saggia correre dai Bresciani a chiedere perdono e a
promettere che, nel caso fossero tornati ad esporre in cielo la Luna, noi
non avremmo più cercato di rubarla. Che ne dite?».
«Troviamo saggia la cosa», risposero in coro.
Detto fatto, scesero tutti in piazza Vecchia e davanti ai maggiorenti (che non seppero trattenere risatine divertite di commiserazione) replicarono le scuse e le promesse solenni.
Già che c’erano, osarono anche chiedere che i Bresciani, magnanimi, esponessero sempre più spesso la Luna.
Cosa che i Bresciani, vieppiù divertiti, promisero senza fatica né rossore!
Si dà il caso che i Bresciani sapessero la Luna in piena fase in quel
periodo e pertanto non costò loro molto assicurare i Bergamaschi che
nel corso della notte, proprio mentre erano impegnati a rientrare nelle
loro terre, avrebbero esposto una Luna quale mai l’avevano potuto ammirare in passato.
Ripartirono alla volta di Bergamo gli ardimentosi sotto il comando
dell’astuto Brembo; ripartirono soddisfatti della promessa.
Era già sera avanzata quando varcarono l’Oglio nei pressi di Palazzolo.
E quando videro apparire in cielo la Luna più chiara che mai, si
abbandonarono a manifestazioni di genuina gioia.
Qualcuno, anzi, narra la leggenda, osò arrestare il passo, mettersi ginocchioni e scoprirsi il capo in segno di ammirazione.