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L’ómm dè la Pùsterla.

L’ómm dè la Pùsterla, la leggenda bresciana che racconta di una figura oscura e malvagia.

Un giorno ormai lontano udii il nonno rimproverare, per una marachella, i miei cuginetti, minacciandoli con una singolare promessa.

«La prossima volta, vi porto dritti da l’ómm dè la Pùsterla!».

A quel tempo io militavo tra i grandicelli dell’asilo comunale di San Bartolomeo e non ero mai uscito dal solitario guscio della Contrada Gabiana (dove abitavo con la mia famigliola) : un grumo di case addossato al Mella, che lo separava da Urago, all’ombra della familiare Pendolina.

In seguito, udendo altre volte citare l’oscuro spauracchio dei bambini discoli, l’ómm dè la Pùsterla crebbe in me sotto la forma sfuggente di
un fantastico personaggio, difficile da identificare e ancor più arduo da
decifrare.

Non mi riusciva, infatti, di classificarlo tra i maghi o gli orchi delle fiabe, né tra i protagonisti delle favole che popolavano le mie prime esperienze nel vasto campo dell’immaginazione.

Soltanto da adolescente, quando la curiosità e l’interesse per il leggendario della mia terra cominciarono a premere sul mio bisogno di sapere, ebbi cuore di chiedere al nonno notizia intorno al misterioso “uomo” che mi aveva atterrito nei miei sogni infantili.

Il nonno, che nelle lunghe serate invernali, davanti alla fiamma del focolare domestico, amava raccontare le storie e le vicende della brescianità, non si fece pregare e soddisfo la mia richiesta, raccontando la leggenda che ora tento di ricostruire, sul filo della memoria, richiamandola dalle sue parole.

La leggenda bresciana de L’ómm dè la Pùsterla!

AI tempo in cui il Cidneo formava un corpo unico con i Ronchi che ora gli ridono in faccia, proprio nel punto dove più tardi si sarebbe scavata la strada che, separando il Colle dal Ronco, mette in comunicazione
rapida la parte orientale della città con il contado fuori porta situato a
nord-est del Castello, un isolato sentiero si inerpicava tra la boscaglia fittissima.

Al culmine dell’erta, il sentiero di diramava: a nord verso Pontalto, la Conchiglia e San Rocchino, a ovest verso la Porta delle Pile.

A guardia del bivio si era installato uno strano individuo.

Da tempo immemorabile viveva là, temuto e misterioso: aitante, barbuto, di poche parole, coperto di pelli d’animale, teneva costantemente l’occhio
sul via-vai del culmine.

Inflessibile e arrogante, imponeva a tutti i viandanti un pedaggio in natura o in denaro, per la sua sopravvivenza.

Soltanto chi poteva assolvere il dovuto, poteva riprendere il cammino.

Per questo motivo, cominciarono a nascere storie e leggende intorno all’ “ómm de la posta”.

Tutti avevano, chi più chi meno, da favoleggiare intorno alla figura del taglieggiatore.

Nelle taverne delle Pile e dell’Albera gli avventori meglio informati andavano raccontando dei pericoli superati, del rischio che si poteva correre, dei pedaggi che l’ómm imponeva senza pietà…

Un viandante triumplino arrivò a giurare di aver visto con i propri
occhi degli sventurati rinchiusi in una grotta-prigione, soltanto perché
non avevano potuto pagare il pedaggio richiesto dall’esoso figuro.

Un secondo, forte di fresca esperienza, non si stancava di ripetere
che aveva subito sulla propria pelle le angherie de l’ ómm e che l’aveva
scampata per il rotto della cuffia…

Agli increduli raccontò per filo e per segno la sua brutta avventura:

«Venivo dal Porcello ed ero diretto al Cacciadenno di Mompiano. Per far prima, pensai di risalire le pendici della Pusterla.

Stavo per scollinare, quando mi si parò innanzi un uomo imponente, che incuteva terrore soltanto a vedersi, irsuto e animalesco com’era.

Con voce cavernosa, disse: “Se vuoi proseguire, devi pagare lo scotto. Altrimenti resterai qui al mio servizio”.

Fece seguire alle parole una decisa presa d’acciaio che mi imprigionò le braccia, immobilizzandomi e impedendomi ogni fuga.

Languii per lunghi giorni, in compagnia di altri sventurati come me, in una lurida caverna dai fetori nauseabondi.

Di giorno l’uomo mi faceva cogliere legna, accendere il fuoco, preparargli il cibo…

Quando a Dio piacque, l’òmm ci mise in libertà.

Forse colpito da oscure commozioni, prima di lasciarci proseguire la nostra strada volle confidarsi.

Disse: “Mi sono ridotto a questo passo disperato perché il mondo è stato ingiusto con me: tempo fa alcuni predoni devastarono la mia casa e rapirono la mia donna e i miei figli.

Accecato dal dolore non trovai di meglio che mettermi a guardia della posta per riversare sugli altri la mia collera impotente”.

Da allora si sparse la voce che transitare dalla Pusterla voleva dire mettere a repentaglio la vita e i beni dei temerari che avessero sfidato le ire del misterioso ómm che vi spadroneggiava.

Molti viaggiatori, infatti, preferirono evitare la “posta” e aggirare la città – da Torrelunga alle Pile – piuttosto che sottostare all’imposizione
e al terrore.

Ci fu chi chiese l’intervento delle civiche forze d’ordine per liberare la città dall’incubo della Pusterla.

Dopo ripetuti tentativi, l’idea di spuntarla contro l’ómm fu abbandonata.

«La “posta” è stregata e l’ómm che la detiene è protetto da forze oscure, da un arcano privilegio che lo rende invulnerabile», andavano dicendo gli sconfitti.

In verità, a nulla valsero i successivi esorcismi e le innumerevoli cerimonie propiziatorie: l’ómm de la Pusterla stava sempre là, più minaccioso e inattaccabile che mai.

Così, l’ómm entrò nel leggendario del “popol de Bressa”, che lo situa ancora e per sempre a signoreggiare dall’alto della sua inaccessibile “posta”.

Per questo i nonni, facendosi scudo della popolare leggenda, continuarono per un pezzo ad ammonire i nipoti ribelli, minacciando loro di riferirsi al misterioso ómm che dalla Pusterla incuteva rispetto nelle nostre paure infantili.

“L’ómm dè la Pùsterla”

Tratto da ” Trenta Leggende Bresciane ” di Lino Monchieri

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