L’eremita di Monte Magno, la saggezza nella contesa.
L’eremita di Monte Magno è la leggenda che narra le antiche storie che, nel tempo dei tempi, non corresse buon sangue tra gli abitanti delle terre di Serie e di Sopraponte.
Motivo del contendere la selva che ammantava le pendici dei Tre Cornelli,
la montagna che fungeva da spartiacque tra i due territori.
Ogni volta che si doveva decidere il taglio del bosco, insormontabili difficoltà dividevano le due comunità che venivano a diverbio.
I conflitti non di rado correvano il rischio di degenerare fino a scendere a vie di fatto.
Come in tutti i luoghi, il rischio era alimentato dagli energumeni decisi a tutto pur di non cedere all’avversario.
Per far valere le proprie ragioni, i più scalmanati non esitavano a pretendere lo scontro fisico piuttosto che sedere ad un tavolo e venire a ragionevoli accordi.
Tutto perché non si accettava di discutere la rivendicazione
di ritenuti legittimi interessi.
A fatica si potevano superare le contese; sicché, di volta in volta, si doveva contare sul cedimento e la rassegnazione di una parte nei confronti dell’altra, rivelatasi più astuta o più fortunata.
Per evitare che risse e scontri durassero all’infinito, nel tentativo di
trovare una soluzione che fosse soddisfacente per entrambe le parti, i
maggiorenti dei due territori convennero di ricorrere ad un venerando
eremita che si era ritirato in preghiera ed in solitudine sul monte Magno, per riscattare, con la meditazione ed i digiuni, certe colpe di cui si
sentiva responsabile verso il prossimo.
Il romito li ricevette nella sua grotta, alta sul monte, dalla cima del
quale la vista spaziava sull’azzurro intenso del lago di Garda.
«Fratelli miei, che cosa vi turba?» li accolse il sant’uomo.
«Siamo divisi da un’insanabile diatriba che ci impedisce di vivere
in pace!» risposero i messi di Serie.
«Vogliamo il tuo consiglio ed il tuo conforto» aggiunsero quelli di
Sopraponte.
«Confidatevi con calma!» li esortò l’eremita di Magno, dopo averli invitati a recitare con lui una preghiera.
L’inviato di Serie, quindi, disse:
«Sant’uomo di Magno! La nostra gente finirà per perdere la fede
se non prevarranno le ragioni del suo diritto a ricavare legna dalla selva che ci divide!».
L’eremita lo riprese con fermezza:
«Fratello, non mescolare mai la fede alle questioni terrene. E un dono troppo prezioso e grande per poterlo giocare a causa di meschini interessi».
Intervenne l’inviato di Sopraponte:
«Quanto dici è giusto e sacrosanto, ma come faremo ad alimentare la nostra fede, se vien tolta la grazia dei beni e dei frutti che la terra dona e produce?».
«Spiegati, amico!» lo invitò l’eremita.
«E subito detto: sono certo che anche il mio rivale – riprese l’uomo di Sopraponte – sarà d’accordo con me: abbiamo il diritto di godere insieme ciò che il bosco dà, contro ogni prepotenza ed ogni sopraffazione».
«Ben detto – approvò il saggio di Magno -. Che cosa vi aspettate
dunque da me?».
«Un giusto consiglio, per uscire con onore dal groviglio di pretese che paralizza i rapporti tra le nostre terre».
L’eremita si raccolse in preghiera, poi disse:
«Ecco quello che io penso in proposito: domani al canto del gallo farete partire da Serie e da Sopraponte la donna che conta più d’anni tra i vostri abitanti: l’una verso l’altra.
Nel luogo in cui avverrà l’incontro, lì sarà segnato il confine del taglio: di qua spetterà a Sopraponte, di là a Serie.
Come segno indelebile pianterete un faggio che ricorderà l’impegno preso. Andate in pace e che il cielo vi dia luce!».
I due inviati offrirono in dono frutta ed ortaggi e tornarono sui loro passi per riferire e decidere.
La sera della vigilia, le due competitrici, al suono della campana
dell’ Ave Maria, si predisposero a veglia per essere pronte a partire non
appena avessero udito il gallo cantare.
Ma ecco che, mentre la donna di Serie aspettava chiusa in casa,
sferruzzando per ingannare l’attesa, la rivale di Sopraponte, raggiunto
di soppiatto il pollaio, con largo margine d’anticipo, con un ferro da
calza punse il gallo.
Svegliato di soprassalto, il pennuto lanciò due o tre vigorosi chicchiricchì.
Prontamente, la donna, rispettosa dell’impegno di mettersi in marcia al canto del gallo, s’incamminò sollecita, seguita dal codazzo dei suoi sostenitori.
Quando il gallo di Serie cantò a sua volta, la donna prescelta da
quella comunità si mise in cammino, verso i Tre Cornelli.
Cammina cammina cammina…allorché le due rivali s’incontrarono, si vide subito che la donna di Sopraponte si era di gran lunga avvantaggiata rispetto all’altra.
Per non contestare il lodo de l’eremita di Monte Magno, i serlesi non vollero guastare la festa dell’incontro: piantarono il faggio, come era stato a loro suggerito e fecero buon viso a cattiva sorte.
Il «faggio» dei Tre Cornelli crebbe robusto e forte, a sfidare venti e tempeste.
Per lunghissimi anni fu chiamato «Lapiantuna del Culumbi».
Fino a non molto tempo fa, i nonni così rispondevano ai nipoti che li
interrogavano sulla storia del gigantesco faggio che segnava i confini tra
le due terre ammantate da una fitta selva:
«Tra Sùerput e Serie
dè mès gh ‘è la piantuna:
è chèla che tè conte
l’è storia ch’empressiuna!»