- La bella del Maniva prigioniera della Montagna.
- Andreola di Poncarale, l’amore incompiuto.
- I Camuni dell’Adamello e le loro volontà.
- Fontanù dè le Laf e il maligno del bàit.
- La croce di Manerba e la Belva guardiana.
- Le Streghe del Tonale e il Malefico Satana.
- I folletti del Gaver figli delle Streghe.
- Il Diavolo a Toline e la beffa del carrettiere.
- El Carli de’l Càregn e la storia dell’aquila.
- La Rocca di Bernacco, la fortezza distrutta dalle Formiche.
- El Pasì e il tesoro di Vallio.
- Il Fantasma di Castenedolo.
- “El fontanù dè i Zanù” e il triste pianto della fanciulla.
- L’eremita di Monte Magno, la saggezza nella contesa.
- Degondo, lo spirito malvagio intrappolato a Serle.
- La Pendolina innamorata del fiume Mella.
- L’ómm dè la Pùsterla.
- La Dea Diana e il valoroso bresciano.
- Maddelena, la sfortunata fanciulla che diede il nome al monte.
- I morti della Selva.
- Silvia, la bella imprigionata!
- I quàter dè Ader
- I giorni della merla “I dé dè la Merla”.
- La Luna sopra i Ronchi.
- I tre fratelli di Costa Lunga.
- La Sarneghera e la Fanciulla di Monteisola.
- I Fratelli di Farfengo.
- Le due P di Vallio.
- El Màcio dè la Casèla.
Presentazione “Trenta Leggende Bresciane”
Legenda, un gerundivo neutro che nel suo significato letterale è un invito a leggere, ad esempio, le gesta di un personaggio eroico se non di un santo, è parola capace di evocare anche le sembianze del mito o addirittura i più conturbanti connotati del mistero.
Eppure, può essere letto quasi come sinonimo della fiaba se l’elemento fantastico prevale sulla verità storica.
Addentellati storici ed elementi meravigliosi si fondono nelle leggende col risultato, certo felice, di farsi leggere. Ed è quel che avveniva nelle povere case dei contadini – spesso addirittura nelle calde stalle dell’inverno – quando i nonni, gli anziani delle famiglie patriarcali raccontavano le loro storie ai ragazzi tramandando così un prezioso sapere altrimenti destinato a disperdersi.
La trasmissione del sapere con la parola non scritta che Platone preferiva, è passata anche attraverso la legenda. Certo, per farsi ascoltare non sempre ci si preoccupava di marcare la differenziazione tra storia, legenda e mito.
Poi, il libro si impose. E quel sapere è giunto fino a noi. (Quando Lino Monchieri, già apprezzato ed assiduo collaboratore della terza pagina del “Giornale di Brescia“, portò in redazione la sua prima “leggenda bresciana ” non sapevamo se avrebbe potuto avere un seguito.
Contenuto e misura avevano le caratteristiche dell’elzeviro. In equilibrio erano stile, rigore di scrittura, narrazione e dimensione fantastica. Lo spunto, lo ha dimostrato un grande elzevirista come Roberto Ridolfi, può essere anche all’apparenza il più labile. Conta il risultato. Ed ecco la serie delle “leggende bresciane” allungarsi.
Le gradiscono anche i lettori. Monchieri è scrittore prolifico come dimostrano le molte decine dei suoi libri. Il suo è uno scrivere denso e chiaro insieme, frutto di una remota e praticata per molti decenni vocazione pedagogica. E un attento narratore.
Ora, una prima raccolta in volume di una serie selezionata tra le molte pubblicate nel “Giornale di Brescia “, qui, arricchita dai disegni, essenziali ed efficaci, del dr. Tullio Piana.
Un contributo prezioso di una cultura, non soltanto popolare finora frammentariamente dispersa qua e là o addirittura miracolosamente conservata nella tradizione orale dei bresciani più anziani.
Altre seguiranno. Ne siamo certi.
Angelo FranceschetH