La Dea Diana è entrata nelle leggende bresciane da quando nel ‘500 apparve in soccorso del valoroso soldato bresciano.
Risalendo la rapida strada del Medolo, sul Ronco che porta al Bacco, ora chiuso al traffico, ma fino a poco tempo fa mèta di passeggiate con sosta all’osteria panoramica che dominava la città da Oriente.
Giunti a mezzo dell’impervia “salizada” a gradoni, ci si imbatte, sulla sinistra, in un cancelletto arrugginito su cui campeggia – in lettere romane maiuscole in ferro – la scritta «AU CONFORTAILE».
Lo stretto corridoio, incassato tra muri a secco ridondanti di verzure, immette in una nicchia sul fondo della quale fa bella mostra di sé una vetusta statua: chi dice Diana cacciatrice armata di arco e di frecce; chi invece «Brescia corrusca guerriera».
La leggenda de La Dea Diana apparsa a Brescia.
Ricordo ancora la leggenda che, al tempo della mia infanzia, un vivace vignaiuolo dei Ronchi raccontò al mio nonno, nel maglio della Gabbiana, allorché veniva a caricare gli attrezzi dell’ordinazione.
Io l’avevo ascoltato trasognato, nel rapimento che le leggende e le storie popolari suscitavano – per il fascinoso potere che costituisce la loro essenza narrativa – nella mia fantasia infantile.
Sul filo della memoria ricordo che il bravo roncaro la sapeva lunga sulla cruenta vicenda accaduta al Medolo.
Raccontò dunque che, un ignoto quanto valoroso cavaliere bresciano, durante il duro assedio, seguito da un rovinoso saccheggio, che i francesi di Gaston de Foix posero a Brescia agli inizi del Cinquecento, scampò agli scontri sulla Pusterla.
Per sfuggire agli inferociti inseguitori, cercò rifugio prima sui Ronchi del Goletto, poi nella gola boscosa del Medolo.
Dopo aver invano bussato alla porta dei rari casali che ebbe la ventura d’incontrare sul suo cammino disperato, nessuno osava aprire le porte di casa, col terrore che gli invasori irrompessero a far bottino.
Giunto all’altezza dell’acciottolato che sale al valico del Bacco, si buttò d’impeto in un provvidenziale anfratto apertosi alla sua vista.
Acquattato, col cuore in tumulto e il fiato mozzo per la corsa, pregò in
cuor suo che la masnada degli inseguitori passasse oltre.
Ma lo strepito degli scatenati francesi si fece sempre più vicino…
Scoperto, alla fine, e tratto dal suo nascondiglio, fu gettato a terra per essere finito.
L’apparizione de La Dea Diana.
Mentre le armi stavano già levate per il colpo di grazia, ecco all’improvviso apparire, in un bagliore di luce accecante, una sfolgorante figura di guerriera con l’arco teso e la freccia incoccata.
L’ignoto cavaliere, scosso da tanto prodigio, si mise in ginocchio, con le mani protese verso la misteriosa apparizione.
Gli assalitori, abbagliati dal fulgore che emanava dalla fantastica creatura, voltarono la schiena e si diedero ad una corsa a perdifiato, offrendosi, facile bersaglio, al dardeggiare rapido che ne seguì.
A questo punto, il cavaliere, vinto dall’emozione intensa che l’aveva colpito, sbiancò in volto, tirò le labbra ad un sorriso come volesse mandare l’estremo saluto riconoscente alla figura prodigiosa, e cadde riverso, rimanendo immoto.
Risaputo l’episodio, la gente accorse da ogni dove in devoto pellegrinaggio fino al Ronco del Medolo.
Sulla tomba del prode cavaliere, lì stesso sepolto per volontà del castellano del Bacco, non mancarono mai fiori freschi e visite di gentil fanciulle in lacrime.
Per dar lustro alla sua dimora padronale, il castellano volle che fosse eretta una statua in onore della misteriosa “guerriera” dalla freccia prodigiosa, collocandola proprio in fondo al cunicolo che si apriva oltre l’anfratto in cui aveva invano cercato scampo il bel cavaliere.
Conclude la leggenda de La Dea Diana e il valoroso bresciano. che gli stessi francesi, messi al corrente di quanto era accaduto al Medolo, contribuissero a rendere omaggio al giovane ardimentoso erigendo un cancello tra due pilastri con la scritta che ancor oggi è dato leggere: «AU CONFORTAILE».
Questo, affinché l’anima del defunto avesse i dovuti suffragi da parte dei numerosi pellegrini che non cessavano mai di salire fino al Medolo per portare un fiore o per recitare una prece.