Fontanù dè le Laf – Leggende Bresciane
C’era una volta, in territorio di Sopranico (una delle otto contrade del Comune di Vallio Terme, di chiara derivazione latina: Supernus vicus, in quanto sta realmente «sopra» gli altri insediamenti) un disabitato bàit fuori mano.
Fin dalla notte dei tempi, i valligiani l’avevano evitato, perché la voce popolare lo faceva infestato dagli spiriti maligni. Un giorno, però, lo venne ad abitare un misterioso forestiero.
Un tipo strano, taciturno, solitario, al punto che la gente del luogo andava a gara per evitarlo, girando al largo dal bàit.
Con il passar dei giorni, l’ignoranza – madre di tutte le intolleranze – fece il resto, creando attorno allo sconosciuto abitatore del bàit un alone di diffidenza che finì per trasformarsi in una cortina impenetrabile.
Immancabilmente cominciarono anche a circolare le accuse più disparate: «E una creatura diabolica!» «Ha segreti rapporti con gli inferi!» «è il demonio in persona…».
Per farla finita con il misterioso individuo, i più animosi presero la decisione di catturarlo per condannarlo al rogo. Guidati dai più scalmanati diedero la scalata al poggio su cui si ergeva il bàit al grido di «al fuoco! al fuoco!».
Come in tutte le circostanze del genere, ad aizzare la folla inferocita non mancarono i facinorosi, sempre pronti a dar man forte per la riuscita dell’impresa. «Alle fiamme l’uomo di Satana!» gridavano i valligiani. «AI fuoco lo stregone diabolico».
Raggiunto il bàit, il popolino ammassò attorno ad esso sterpaglia e rami secchi ai quali fu applicato prontamente il fuoco. Alte lingue rossastre avvolsero in breve l’abituro che arse come un fiammifero.
Con un urlo sovrumano, lo sconosciuto fendette la cortina di fuoco e si dileguò nella notte, ingoiato dall’oscurità della valle, lasciando dietro di sé una scia luminosa.
Superato l’attimo di sorpresa e di sgomento, i più temerari seguendo la scia si lanciarono all’inseguimento del fuggitivo. Al primo 17 chiarore dell’alba, il forestiero fece capolino dalla cresta di Seraìne, il monte che sbarrava a oriente i confini di Sopranico.
Sui valligiani, appostati poco sotto, cadde la voce del forestiero: «Uomini della Valle, vi ripagherò della stessa moneta! Volevate condannarmi al rogo? Ebbene, voi stessi perirete arsi dal fuoco.
Invocherò su di voi una pioggia ardente che bruci i vostri raccolti e vi condanni alla siccità perpetua! Udite, uomini della conca che non sarà più verde: la Vrenda si seccherà e così inaridiranno i ruscelli delle convalli, e le fonti non getteranno più acqua fresca. E voi brucerete nel fuoco eterno!».
In ginocchio, per il terrore, i valligiani tremanti rivolsero i loro sguardi al cielo e invocarono la benedizione dell’Onnipotente contro la maledizione degli inferi. La preghiera, fervida e insistente, fu ripetuta più volte: «O Dio, nostro creatore e signore, non permettere che la nostra vita cada preda del demonio. Abbi pietà dei tuoi fedeli. Ascolta la nostra supplica. E fa’ che non manchi mai alla nostra sete l’acqua della salute perpetua».
All’improvviso, si udì un boato possente che si ripercosse lungo la valle come un rombo di tuono. La terra tremò e la montagna si squarciò ingoiando il misterioso forestiero del bàit.
Quando i valligiani si ripresero dallo spavento videro con stupore uscire da una fenditura della roccia un fresco rigagnolo d’acqua limpida e pura come mai si era vista da quelle parti.
Ringraziando il cielo, i valligiani si dissetarono, benedicendo alla sorgente e al prodigio che l’aveva generata. Da allora in poi, alla sorgente di Sopranico salirono tutti coloro che trovavano beneficio nel dissetarsi alla fonte del luogo che prese il nome di « fontanù dè le Laf » (delle lavine, anche questa una netta derivazione dal latino Labes, fenditura, spaccatura), che tuttora continua a premiare la sete quotidiana degli uomini della Conca Verde, all’ombra dell’antica Rocca di Bernacco.