Al bus dè la pora è tra le più belle Leggende Bresciane, ancora oggi ricordata dalle genti a perenne monito.
E’ ancora là, sissignori, la santella del bus dè la pora, a ricordare quel fatto, quel giorno lontano, quel racconto narrato, bisbigliato non senza timore.
Al bus dè la pora.
Dicevano gli abitanti della valle che in quel tempo una giovine si era portata sul posto con le sue oche da pasturare.
Vi trovò un signore seduto su di un ceppo.
I suoi occhi non erano di questo mondo e i piedi avevano dita lunghissime e palmate.
Era un essere strano, bislacco, affascinante. Faceva paura.
La sua voce però era talmente suadente che la ragazza, dopo averla ascoltata, sentì svanire il terrore provato dopo l’apparizione.
Non sentì invece il guaire del suo cane che gli insegnava il pericolo che la minacciava.
Il signore si alzò, la prese per mano e s’incamminò verso l’ansa più vicina del fiume che lì scorreva.
Lei lo seguì come una sonnambula. Imbambolata.
Al passaggio del forestiero ogni essere vivente fuggiva, e tutto intorno inaridiva.
Il fiume era scuro, i campi scendevano e scendevano verso il fondo che pareva, sempre di più, un baratro fosco.
L’acqua era laggiù, nello scosceso perso, nel bus dè la pora.
Poi anche il fiume scomparve, prosciugato da un fuoco potente.
Sotto, a voler guardare, si vedeva solo una voragine: senza fine, ne speranza, senza senso.
La ragazza capì d’essere perduta.
Appena prima di sentirsi spinta nel vuoto insieme al forestiero che la teneva stretta per la vita, riuscì ad invocare: Maria di grazia piena.
Volò e volò per un tempo infinito, per un tratto di spazio immensamente lungo.
Quindi s’impigliò in un roveto, nato là.
Fu viva per miracolo, ma la grande paura provata le aveva imbiancato i capelli.
Venne salvata da alcuni pescatori che avevano visto tutto e che poi, nei pressi, eressero un’edicola a ringraziamento.
Dentro c’è un volto, un’immagine santa.
Sta ancora là, sissignori, presso al bus dè la pora.